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Santa Maria Maddalena
LUCA SIGNORELLI
Santa Maria Maddalena
1504
Tempera su tavola; cm. 178×117
Iscrizioni:
– in basso: ·CONSERVAT·PA·PACIS·CONSERVATRICI·EX·SE·CONSVLTO·M·D·IIII·
– sulla cornice superiore, tra le insegne del Comune di Orvieto: ·CECCARELLUS·DE·ADVIDVTIS / ET·RVFINVS·ANTONII·
Provenienza: Orvieto, duomo, cappella della Maddalena nella Cappella Nuova
L’opera fu commissionata dal Comune poco dopo la promozione della Maddalena a protettrice della città. Alla santa venne dedicato un altare all’interno della Cappella Nova, di fronte a quello intitolato ai santi Faustino e Pietro Parenzo. Il dipinto venne poi rimosso quando, nel 1653, la cappellina fu concessa alla famiglia Gualterio che nel 1724 la rinnovò completamente in forme barocche. Trasferito nel palazzo della Fabbrica, entrò a far parre delle collezioni del museo.
Signorelli ritrae la santa come grande e solenne figura, sacrale ma anche terrena come l’aveva raffigurata già il suo maestro, Piero della Francesca, nel duomo di Arezzo.
Lo schema iconografico si evolve nel corso del XV secolo ma è formulato fin dall’epoca medievale sulla base della sovrapposizione, dovuta a san Gregorio Magno, in un’unica agiografia di tre figure evangeliche originariamente distinte: Maria di Magdala, una delle tre donne esorcizzate da Gesù e prima testimone presso il sepolcro della sua resurrezione; Maria di Betania, sorella di Marta e del risorto Lazzaro, che siede ad ascoltare Gesù o gli cosparge il capo di prezioso nardo; infine l’anonima peccatrice di Galilea che pentita bagna di lacrime i piedi di Gesù, asciugandoli con suoi lunghi capelli sciolti e cospargendoli di profumo. Tra XI e XIII secolo leggenda culto e iconografia si sviluppano e diffondono nell’ambito conventuale dei Domenicani e dei Francescani anche a Orvieto, come stavano ad attestare i rispettivi preziosi polittici trecenteschi, commissionati a Simone Martini e oggi conservati seppur non integralmente presso il Museo dell’Opera del Duomo. La Maddalena vi figura come apostola del pentimento, avvolta nel mantello rosso e identificata dal vaso degli unguenti come testimone della resurrezione di Cristo. Più tardi, intorno al 1481, anche presso il convento degli Agostiniani alla santa sarà reso onore con la realizzazione dell’ammirata e «costosissima» ancona di Piermatteo d’Amelia che costituisce il precedente cronologicamente più vicino alla tavola signorelliana. Per Signorelli, che accanto al maturo e celebre artista amerino si era trovato giovane emergente tra le fila degli umbri nel cantiere della Sistina, la figura morbida ed elegante del polittico agostiniano deve aver rappresentato un modello assoluto di riferimento per l’icona ordinata dalla Comunità orvietana. Tanto che al confronto sembra colmarsi il divario di varianti formali che discostano dal noto disegno preparatorio conservato al Louvre la realizzazione finale del 1504 davvero toccante nella malinconica e consapevole bellezza che è il segno della rivalutazione umanistica della femminilità di Maria Maddalena nella sua doppia natura spirituale e materiale, sacra e profana.
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Progetto realizzato con il contributo
della Regione Umbria
